L’erba di oggi e i contadini di domani

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Il Professor Andrea Cavallero, con me, nel recente sopralluogo nei prati della mia azienda

“Campa cavallo che l’erba cresce” è un proverbio che sin da bambina, avrò sentito pronunciare un milione di volte, tanto in casa quanto fuori. Di sicuro uno tra i più usati dai grandi, quando vogliono mettere un freno agli entusiasmi e alle frenesie dei più giovani. Ma non solo.

A pensarci bene, è un modo di dire che si adatta a più situazioni. Torna utile ad esortare qualcuno, nell’aspettativa di qualcosa che certamente accadrà – e che accadrà con i suoi tempi – ma ha in sé anche un messaggio che induce all’attesa, alla pazienza, ché nella vita ne serve tanta, spesso per le cose che più contano.

Certo che a ripensarci ora, dopo che da tre anni ho riportato le mie mucche all’erba. tra me e me mi dico che non sempre è una questione di attesa. Che l’erba bisogna saperla governare, gestire e selezionare. Che bisogna aiutarla a crescere, e a crescere bene. Per avere il massimo da lei, per me allevatrice, per i miei animali, e per i miei clienti.

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Le mie manze al pascolo nella primavera del 2016. A breve torneranno nei prati aziendali, assieme alle mucche, quando l’erba sarà un poco più alta di adesso

Il supporto scientifico

La fortuna poi, come si dice, bacia gli audaci, e noi che di audacia nel riconvertire da mais ad erba credo se ne sia avuta un bel po’, il nostro premio lo abbiamo ricevuto – e continuiamo a riceverlo – attraverso il supporto scientifico che il più grande esperto di praticoltura d’Italia, il Professor Andrea Cavallero(*) (che fu docente di Foraggicoltura, di Coltivazioni erbacee e di Alpicoltura presso l’Università degli Studi di Torino) ci offre ogni anno, e anche più di una volta all’anno, se necessario.

All’inizio di ogni stagione pascoliva, puntuale come un orologio svizzero, il Professore viene a trovare noi, le nostre mucche felici e la nostra preziosa erba, nei prati polifiti impiantati nel 2013 con il preziosissimo aiuto suo e del Professor Giampiero Lombardi (attivo come docente presso il DiSAFA, Dipartimento Scienze Agrarie, Forestali e Ambientali di UniTO). Prima che il manto erboso torni nel pieno del suo periodo vegetativo, dopo il freddo invernale, il professore mi accompagna in una bella passeggiata (c’è sempre qualcosa da imparare!) per analizzare lo stato dei prati, valutare le diverse situazioni  e decidere dove, come e quando intervenire.

 

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Impara l’arte e mettila da parte: notes e penna sono sempre con me, quando arriva il Professore!

L’aiuto di Madre Natura

Il terreno non è sempre uguale a sé stesso, le erbe seminate qui da noi, tra graminacee e leguminose, sono di cinque specie e ad esse pian piano se ne vanno aggiungendo altre, con il contributo di Madre Natura. E così, grazie a qualche uccellino, alla terra stessa che ha sempre saputo conservare il tarassaco, al prezioso letame maturo, ai lombrichi che lo popolano, negli anni il prato si fa e si farà sempre più bello, ricco e… stabile, vale a dire sempre meno bisognoso di interventi rilevanti.

Anche in questo sopralluogo, avvenuto martedì scorso, sono stati stabiliti solo piccoli interventi correttivi, da alcune azioni di contrasto alla diffusione delle specie non adatte al pascolo, al taglio di pulizia con successiva trasemina di erba medica, in una piccola porzione (poche centinaia di metri quadrati) in cui attualmente prevalgono le graminacee.

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Il nostro letame, ben maturo e ricco di vita, è destinato allo spandimento che avverrà in questi giorni

La cultura contadina

Oltre a ciò, ovviamente, la letamazione, necessaria un po’ ovunque per arricchire la terra di elementi nutritivi, ma da curare maggiormente in una micro-area in cui il terreno è un poco più sabbioso del necessario.

In definitiva un altro passo avanti per migliorare sia i prati che le nostre conoscenze agronomiche, ma ancora una volta delle notizie confortanti su una gestione, sin qui ben fatta tanto dalle nostre mucche quanto da noi agricoltori, sempre più in sintonia con la natura che ci circonda.

Il valore della terra

Per me, staccare dalla produzione in gelateria, percorrere appena tre chilometri e rimettere piede in cascina, a calpestar la terra e parlare di terreno, di erba e di letame, è qualcosa di importante, quasi indispensabile. Mantenere vivo il legame con la produzione della materia prima e con tutto ciò che la circonda è un elemento imprescindibile del mio fare quotidiano.

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La silene vulgaris, in piemontese “cuiet”, da sempre tra le erbe più ambìte, assieme al tarassaco, per farne insalate

Non perdere mai il contatto con le origini, con gli insegnamenti, con le buone pratiche agricole è patrimonio fatto di insegnamenti, di forte appartenenza a questo mondo, e di ricordi. Come quelli dei compaesani che una volta erano qui ad ogni inizio di primavera a far tarassaco e cuiet (silene vulgaris), per le loro insalate. Immagini che hanno radici nei miei ricordi d’infanzia, che inevitabilmente si intrecciano a quelli di un padre a cui devo tanto del mio esser donna e imprenditrice oggi. Un padre che, da semplice contadino, ha dato tanto a noi figli, alla sua famiglia, ai suoi animali. E al suo territorio.

Claudia Masera

Villastellone, 6 marzo 2017

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(*) Cavallero, già docente di Foraggicoltura, Coltivazioni erbacee e Alpicoltura presso l’Università degli Studi di Torino (DiSAFA, Dipartimento Scienze Agrarie, Forestali e Ambientali), componente dei consigli scientifici di numerosi enti e accademico delle Accademie di Agricoltura di Francia e di Torino.

Clicca qui per un breve curriculum del Professor Cavallero 

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